Un nuovo album dalle
sonorità anni '70, le soddisfazioni della partecipazione come unico
ospite italiano al Crossroads, Festival organizzato da Eric Clepton;
qualche incomprensione con la casa discografica che blocca, per ora,
il progetto Acoustic jam e l'ammissione, sincera, di non riuscire
più a scrivere come prima. “Perché non è un fatto di capacità, ma
di vita". Con la musica che prima smuoveva le coscienze e spingeva
al cambiamento e ora invece sembra aver perso anche quella funzione.
Il sentirsi sempre più suonatore e musicista che cantautore, e il
bisogno sempre più forte di divertirsi nel fare questo lavoro.
“Faccio quello che mi pare e mi diverto". Incontro con Pino Daniele.
Boogie boogie man è un disco chiaramente ispirato agli anni
70. Perché si è voltato indietro?
E' vero, è un disco
ispirato alla musica degli anni ‘70, quella musica che m'ha dato
tanto e che m'ha fatto lavorare su una combinazione di napoletano e
blues americano; perché alla fine, anche se ho scritto delle cose
melodiche, i pezzi che mi hanno fatto venir fuori come artista sono
in realtà proprio quelli in cui questo miscuglio di generi è più
presente, da Je so pazzo a Yes I know my way.
Miscela che
ritroviamo anche nel singolo Boogie boogie man...
sì, è
un pezzo molto vicino al giro armonico del boogie boogie, e l'ho
scritto cercando di mantenere la stessa atmosfera di quegli anni,
con musicisti diversi e un suono un po' più moderno. Inoltre ho
scelto di usare nei testi un linguaggio con una struttura molto
semplice, ho cercato di non scrivere poemi. Non voglio fare il
profeta, credo che ce ne siano già troppi in giro, io cerco invece
di fare quello che mi piace e divertendomi provo a far arrivare
questo divertimento anche agli altri.
A partire dal titolo.
Già, altrimenti non l'avrei chiamato Boogie man, che in
americano è un nomignolo per dire “l'uomo nero", quello che si usa
per spaventare i bambini da piccoli quando fanno le marachelle,
insomma il cattivo della situazione, voleva essere un po'un gioco
di parole.
Ha partecipato come unico artista italiano al
Crossroads, il Festival organizzato da Clepton lo scorso giugno,
quanto ha contribuito quell'evento alla costruzione di questo album?
Credo che sia stato proprio il motore del disco. Andare lì
ed essere su quel palco è stato come un sogno, c'erano tutti i più
grandi chitarristi del blues, del rock, c'era un'atmosfera
straordinaria, poi mai nessun italiano era mai stato invitato.
A partire da quell'esperienza ho deciso di lasciarmi andare un po'
di più, di pensare a divertirmi con la musica.
L'idea di
coinvolgere ospiti, come ha fatto con J.Ax, Mario Biondi, Franco
Battiato e Mina, è solo un tentativo di impreziosire il disco o la
loro presenza ha un ruolo preciso?
Non ho voluto assolutamente
fare dei duetti, perché l'idea di dare al disco un interesse di
mercato era molto lontana da me, non era quello il mio intento.
Gli ospiti, infatti, sono stati scelti perché ognuno di loro ha una
voce particolare, volevo tentare di unire la mia voce con delle altre
che avessero un suono distintivo. Per esempio la voce di Mario Biondi
ha fatto diventare Je so pazzo un brano totalmente nuovo, qualcosa di
particolare; con la voce di Biondi molto bassa e la mia molto alta,
ho voluto creare un suono che fosse unico. La stessa cosa con Franco
(Battiato, ndr), lui per me ha un significato particolare, non è avere
semplicemente un altro ospite nel mio disco, ogni volta che mi avvicino
a lui è come se mi avvicinassi a un grande Maestro, di musica e di vita
soprattutto, per avere uno scambio di idee. Con lui ho voluto fate Chi
tene ‘o mare, che non è un pezzo radiofonico, quindi ribadisco, la mia
idea non era certamente quella di fare un duetto per poter vendere di
più. La collaborazione con Ax invece è qualcosa che va avanti da
diverso tempo, Ax secondo me è un grande poeta del suo tempo, magari
un giorno gli chiederò anche di scrivere qualcosa per me. E poi, in
ultimo, chi è che non vorrebbe accompagnare Mina con il pianoforte o
con la chitarra? Credo sia il sogno di tutti quelli che fanno il mio
mestiere; anche se in realtà non l'ho mai incontrata, sai ormai nella
musica si mandano i file. Lo stesso Battiato mi disse “Pino, mandami
il file che se non mi piace, te lo dico" e invece poi, grazie al cielo,
gli è piaciuto.
I pezzi da fare eseguire loro, li ha scelti lei?
E che secondo te mi faccio scegliere i pezzi dagli altri? Si,
certo che li ho scelti io. Per dare un'impronta più blues, più rock al
disco ho cercato di mettere insieme dei brani che avessero una stessa
atmosfera. Credo si spazi abbastanza dal jazz ai generi che amo di più,
c'è una specie di etichetta per descrivere la mia musica che mi sono
dato da solo ed è “blues latino e melodia", che credo racchiuda bene
quello che sono.
Presentando Electric jam l'anno scorso, disse
che avrebbe pubblicato dopo alcuni mesi un Acoustic jam, dopo però hai
cambiato idea, perché?
Volevo davvero realizzare Acoustic jam,
poi però non ho avuto il supporto dalla casa discografica che non era
d'accordo e quindi, non potendo lavorare con una casa discografica che
non m'appoggiava, ho lasciato stare, ma non è detto che in un futuro,
anche breve, ora che ai posti di comando c'è un altro responsabile,
non possa riprendere in mano il progetto.
Questa tendenza di
“attingere al passato" con dischi composti da due o tre inediti insieme
a brani del proprio repertorio, paga a livello commerciale o no?
Questo non lo so. Però siccome ho la fortuna di riuscire a innovare
sempre quello che ho fatto, ho tanto di quel repertorio che credo di
fare ancora un disco di questo tipo, magari ispirato al mondo latino,
ho molti brani di quel genere da poter riarrangiare, inserendo come ho
fatto stavolta due o tre inediti. Oggi, più che il disco, funziona il
singolo a livello di mercato; credo, infatti, che la possibilità di
fare un concept-album non ci sia più, è cambiato il settore ed è
soprattutto cambiato il modo di ascoltare la musica. Perciò l'artista,
oggi più che mai, ha la possibilità di recuperare cose del suo passato,
che forse non sono state capite dal pubblico, rinnovarle e proporle con
una nuova veste.
Ha detto magari mi faccio scrivere qualcosa da
J. Ax, magari faccio un disco latino, è come se avesse molta più voglia
di suonare che di scrivere. E' un'analisi giusta?
Ho scritto
delle cose belle nel passato, canzoni che secondo me rimarranno. Ora
però non so più scrivere in quel modo, io non posso oggi scrivere delle
cose rifacendomi a quello che ho già fatto, non riuscirei ad avere quel
tipo di intensità. Quindi perché non prendere pezzi che fanno parte di
una socialità emotiva legata a un tempo passato e poi rinnovarli? E'
vero, mi sento sempre di più suonatore, musicista. E non è detto che
presto non farò un disco totalmente strumentale.
Non sono molti
gli artisti che ammettono di non riuscire a scrivere più con la stessa
intensità di prima...
non credo sia un fatto di capacità, credo
sia più un fatto di vita, nel senso che prima un artista veniva fuori
perché quello che faceva, aveva un riscontro sociale, quando saliva sul
palco e cantava una canzone, quel fatto muoveva un'idea sociale e si
costruiva insieme un cambiamento; la musica faceva parte di una
quotidianità e i giovani potevano identificarsi nella musica come
qualcosa che poteva portare cambiamenti. Oggi tutto questo non c'è più.
Tutto quello che noi abbiamo vissuto con i Beatles, con il rock ‘n roll,
quello che abbiamo vissuto con De Gregori o con Guccini, con quei
cantautori, oggi non ci può più essere. Oggi i giovani sono distratti da
altre cose, hanno altre priorità e credo che non si debba neanche
ragionare con “erano migliori i nostri tempi", bisogna invece accettare
i cambiamenti della società. La musica oggi sembra avere un altro tipo
di funzione, dipende da tutto quello che ci gira intorno, dalla politica
caotica e da tutto il resto. Quello che so è che dagli ultimi dieci anni
sembra che la musica dia fastidio, che i musicisti diano fastidio. In un
mondo dell'esteticità e dell'apparire credo comunque che alla fine di
tutto resteranno gli artisti a salvare la situazione.
Alcuni dei
suoi testi passati avevano dentro una protesta sociale, si sentiva la
rabbia, la riflessione, scusi se insisto, ma perché ora non riesce più
a scrivere in questo modo?
Io non sono mai stato un cantautore
politico, e non lo sono oggi. Non faccio una canzone per denunciare
quello che succede, io scrivo perché ho da dire qualcosa come persona,
cerco di comunicare delle emozioni… ho smesso di pormi la tematica
delle canzoni da diversi anni. Non ho paura di quello che sono e non
voglio nascondere in nessun modo i miei errori. Faccio quello che mi
pare e mi diverto, chi vuole venirmi a sentire viene, chi ha da dirmi
qualcosa ben volentieri, sono ben contento se qualcuno mi dice “questa
cosa fa schifo": bene, parliamone. Oggi vivo questo mio lavoro in
questo modo e finché durerà, lo vivrò così. Mi scoccio di andare in
televisione, mi scoccio di apparire, forse perché l'ho già fatto, a
volte le cose non si fanno solo per i soldi, se fanno anche soprattutto
perché te deve piace'.
Pensi ancora che “questa Lega è una
vergogna"?
No, non penso più che questa Lega è una vergogna,
penso che siano tutti una vergogna. E' una vergogna come si stanno
comportando le Istituzioni: sono più seri gli artisti, i saltimbanchi,
che loro.
Giulia Zichella
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Articolo aggiunto il 28/05/2014
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