Non hanno niente che non vanno i nuovi dischi di Pino Daniele e
contemporaneamente non hanno neanche nulla che gira per il
giusto verso. Sono dischi stanchi, fatti forse per dovere, forse
per contratto, forse per abitudine, ma che, da anni, non hanno
più niente di determinante da offrire. E quindi siamo al libero
arbitrio personale più assoluto. A chi piace Pino potrebbe
continuare a piacere all'infinito (tanto le canzoni sono sempre
quelle), a chi dà fastidio la voce fessa e l'insistere su giri
chitarristici che erano già vecchi negli anni '90 non arriverà
neanche a finire il disco.
Personalmente sto nella seconda categoria: quella cheritiene che
di Pino Daniele non ci sia bisogno. Musica radiofonica, fatta
per non disturbare mai, al servizio di testi normali, né brutti
né belli, ma solo scontati. Non un guizzo. Non è neanche
possibile detestarlo o sostenere che abbia sbagliato qualcosa.
No, i suoi dischi sono perfetti come una supposta. E allo stesso
modo svolgono il loro ruolo. Poi se uno ama le supposte ...
Supposto che Pino non sarebbe d'accordo a noi resta la
supponenza di dire che, per anni, Pino Daniele, per quanto
sempre affine alla canzone da lounge bar, ha avuto una sua
valenza forte e un impatto non trascurabile, ma adesso che
sinatreggia, con qualche risvolto blues, rientra in quel gruppo
di virtuosi senza anima che annovera le Amalia Gré, le Giorgia
(non a caso ospite nel disco) e le Mina delle annate meno
ispirate.
Tanto mestiere insomma per i solchi, in cui ogni tanto si
iscrive una qualche zampata: "Il giorno e la notte", grazie
anche alla voce di Giorgia non è affatto male. "Back home", per
quanto scontata ha bei momenti chitarristici, come pure
"Salvami" che peraltro ha un testo che negli anni '50 sarebbe
stato scartato da Sanremo perché troppo datato: tutto "cuore" e
"amore"!
Persino "Mardi Gras" non rispecchia il titolo. Niente New
Orleans, ma Brasile (infatti è una cover da Alfredo Paixao).
Ecco come devitalizzare un fenomeno vitale. Svirilizzata in un
samba seriale, entusiasmante come un grande magazzino sovietico.
Ancora una volta per cercare i brani migliori dobbiamo
appoggiarci alla voce di Giorgia che interviene anche in "Vento
di passione" che, seppure musicalmente ricordi "Historia de un
amor" di Carlos Eleta Almaran del 1956, ha tra solismi
chitarristici, scambio delle due voci e testo malinconico, le
carte per affascinare.
Non basta però. Il risultato è pesante e finire il disco più
un'opera di fede che di passione. "Il blues del pescatore",
banale e dalla rime trite e baciate, è blues solo nella mente
dell'autore. "L'africano" è mosciamente jazzata, ma niente a che
vedere con i ritmi e la carica della musica di lì, forse la
musica più vitale di questi ultimi anni. Tanto per cambiare è un
ritmo latino. Moscio. "Ischia sole nascente" e "Passo
napoletano" si caratterizzano per il testo brevissimo, che è un
vantaggio e per i mischione di napoletano e inglese che riporta
ai vecchi tempi, oltre a qualche intervento di Tony Esposito
alle percussioni, ma giungono troppo tardi per rialzare il tono
del disco.
Solo per appassionati. Solo per pop ascoltatori. Solo per
loungisti-mojitoisti. Ecco, per intenderci, il rapporto è
quello: Pino Daniele è diventato un mojito (lo cita e cita anche
il Cuba libre). Se vi piace il Barolo non siete nel posto
adatto.
Recensione di Leon Ravasi su www.bielle.org
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Articolo aggiunto il 28/05/2014
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